Arte o non Arte, si potrebbe, e si dovrebbe invero, tornare a ragionare sull’azione dell’arte nella società e nell’uomo. Tornare a interrogarsi sulla necessità dell’Arte nel cammino evolutivo dell’uomo.
Ci si dovrebbe interrogare sul perché, questo strano gioco giocato della pittura e dell’arte in senso generale, continui a manifestarsi in un’era dove le nuove religioni, della pseudoscienza e della tecnica, dell’economia e di qualche libro sacro, dominano incontrastate.
Cosa se ne fa l’uomo di un feticcio artistico, di un manufatto discutibile e inafferrabile in definitiva se non attraverso le definizioni a lui connesse frutto di elucubrazioni intellettualistiche del critico che urla di più, o peggio di quello che più sa mettere in movimento la macchina mediatica martellante del pensiero unico dei mass-media a cui accede forte di un denaro capace di aprire tutte le porte, capace di comprarsi stampa e televisione o invadere la rete attraverso le agenzie preposte allo scopo.
Ovviamente le cose non stanno sempre così. Fortunatamente c’è un uomo che resiste refrattario all’omologazione di massa. Un uomo, sveglio, che resiste alle narrazioni di Stato e si fa domande. Quest’uomo assiste agli eventi come ad un grande spettacolo di cattivo gusto, spesso è incapace di reagire perché stenta a credere che ci si possa spingere sull’orlo di un abisso con tanta incoscienza.
“L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte” è un concetto espresso dal critico-filosofo Dino Formaggio (1914 – 2008) che sembra rispondere adeguatamente a chi di fronte al vuoto che vive dentro e “vede” fuori dovrà pur fare i conti con l’alienazione che si produce nel tentativo di ricollegare il suo vissuto all’esperienza estetica. Ma di quale esperienza estetica si parla? In sostanza, la domanda è cosa produce il fare arte nell’animo dello spettatore-fruitore-attore destinatario dell’opera? Qui si svela il sottinteso, cioè il pensiero che muove il fare artistico. Tutto muove dal pensare, si potrebbe dire che il pensare è la sola attività in cui l’uomo può sperare di essere veramente libero; eppure, non sa nemmeno come quest’attività si produca in lui essendone cosciente nel momento della caduta del pensare nei pensati. Il pensato, ormai cadavere del pensare, è già preda nella sua riflessità della nostra coscienza addormentata/identificata con la materia da non essere capace di risalire alla Sorgente da cui esso è scaturito. Sorgente a cui tende l’arte che qui si intende come via di Conoscenza e di collegamento tra il mondo della materia e il mondo dello Spirito, invero mai separati se non dalla coscienza riflessa.
L’arte è un diverso modo di pensare ovvero la possibilità del pensare di cogliere sé stesso come processo e non come ente, e non si tratta nemmeno di ricorrere al dase in heideggerriano ma al contrario di risolvere l’enigma dello spazio e del tempo. Risoluzione predialettica, mai discorribile ma solo accennabile, forse in paradossi, o in koan zen che talvolta possono, creando un cortocircuito nella mente logica superare la gabbia mentale in cui ci siamo confinati.
La logica si rivolge contro l’uomo quando esso cerchi di svelare la sua natura reale, profonda e incommensurabile. Certo è che ci si puo’ accontentare delle conquiste delle neuroscienze e pensare di aver spiegato la Coscienza, il pensare. C’è chi, infatti, continua a pensare che il cervello secerne i pensieri come il fegato la bile. Bontà loro, la materia è muta, solo l’essere umano la può interrogare, e l’arte è una via, un modo di “vedere” quello che mal si presta ad essere ridotto a numero, peso e misura. Quindi l’arte interroga la materia e la riporta allo spirito, ma interroga anche lo spirito liberando la materia dall’incanto.
La pittura, ovvero l’esperienza del colore, è un incontro con l’essere del colore, con la sua ragione di manifestarsi all’umano proprio in quanto il sole, elemento esteriore di una realtà spirituale, modelli la nostra pupilla al fine di percepirlo…
L’uomo è misura di tutte le cose, sposare appieno l’adagio di Protagora significa riguadagnare antropologicamente il diritto/dovere dell’uomo di collocarsi fuori e dentro il creato come cocreatore a cui è data la possibilità di farsi sempre più libero e pertanto sempre più creatore di mondi. L’uomo crea il mondo morale, l’uomo crea la tecnica, all’arte il compito di impedire che l’una o l’altra siano unilateralmente presenti nella sua vita rendendola inevitabilmente disastrosa.
L’arte è bellezza, perché parla il linguaggio creatore del logos. Non serve ma serve, non ha scopo ma è scopo, è sempre contemporanea è sempre una porta aperta sulle contraddizioni del mondo e dell’essere nel mondo. Se è un atto autentico è un’occasione di ascesi, di connessione tra il visibile e l’invisibile, altrimenti diventa un gioco per addetti ai lavori. Un codice e un linguaggio che scimmiotta se stessa, una creazione sterile ripetitiva che celebra al massimo un’idea, una bella intuizione finita in pasto al curioso. Va tutto bene, non si può demonizzare nemmeno questo, ma ci si può chiedere noi cosa vogliamo, cosa ci parla veramente, quanto tempo dedichiamo al silenzio, all’ascolto a imparare a vedere. Quanto tempo sappiamo ancora stare con i nostri pensieri, e vedere se poi sono veramente i nostri…
Ogni uomo è un artista, e non potrebbe essere diversamente e non solo nel senso che ci ha insegnato Beuys aprendo nuovi orizzonti con la Soziale plastik, ma anche perché è il fare anima a richiedere tutti i linguaggi, e la vera parola richiede tutto l’uomo. L’Arte richiede tutto l’uomo, il tutto dell’umano. Ed è artista chi decide di dedicarsi alla Grande Opera, che può trasformare il piombo della sua vita nell’oro della sua coscienza risvegliata, nel’io liberato dalle catene dell’ego almeno un poco… almeno come anelito e via, questo mi pare sia il messaggio della Nuova Coscienza. Ma qui l’arte diventa anche arte di vivere, e la vita liberata diventa opera d’arte, a questo punto le opere e i manufatti sono la testimonianza, l’indicatore sulla mappa, l’esito di un processo creativo sempre in atto, la traccia per tornare a casa, non più i feticci da esporre in luoghi di culto sacralizzati.
Se veramente si sta davanti all’opera d’arte si cambia, qualcosa in te si trasforma… anche se non ne sei cosciente, prova a entrare in contatto con: Gino De Dominicis, Joseph Kosuth, Jannis Kounellis, Gastone Novelli, Osvaldo Licini, Cy Twombly, Mark Rothko, Turner, Caspar Friedrich, Vermeer, Monet, Egon Schiele e non sarai più lo stesso. Il mondo e la percezione del mondo, cambia. Le parole cambiano, gli occhi cambiano, i pensieri cambiano, i tuoi abiti e tutti gli oggetti intorno a te cambiano. Per questo un mondo senza arte è inconcepibile, non sarebbe umano. E quando le macchine realizzeranno opere che simuleranno arte dovremmo tenere a mente che si tratta solo di apparenza, mancherà la bellezza dell’imperfezione e la necessità interiore di cui parlava già Kandinskij nel suo “Lo spirituale nell’arte” del 1910.